di Mario Miglietta.
In molti dibattiti sui media sull’ utilizzo o meno dei pesticidi in agricoltura, mi sembra di poter constatare che essere contrari ai pesticidi non significhi conoscere, ipso facto, le basilari differenze tra i principi dell’agricoltura ispirata dall’industria chimica e quella biologica, biodinamica ed altre pratiche quali l’agricoltura sinergica, permacultura, Fukuoka ecc.
Sento il bisogno di dare un contributo di chiarezza a questo tema iniziando da un punto fondamentale.
Molti di questi commenti evidenziano una tendenza che sta passando anche nelle facoltà di Agraria, dove non volendo accettare le difficoltà dell’attuale forma di agricoltura per la progressiva perdita della fertilità dei terreni e l’evidente danno ecologico, si sta in modo strisciante cercando di adottare in modo malinteso le pratiche di quella biologico-dinamica, magari sostituendo con estratti erboristici, macerati o oli essenziali i prodotti chimici finora in uso. E questo è in qualche misura positivo, ma rivela che non si muta approccio in realtà.
In molti dibattiti infatti si finisce per limitarsi al confronto tra i prodotti in uso nelle due metodiche.
Il fenomeno va in parallelo con quanto avviene con la medicina ufficiale, dove molti medici iniziano ad affiancare ai farmaci convenzionali anche quelli omeopatici o erboristici, se non altre terapie alternative.
Ma ciò che intendo innanzitutto sottolineare è che la grande differenza sta appunto nell’approccio filosofico a queste pratiche.
L’agricoltura ispirata dall’industria chimica ha un approccio “sintomatico”, quasi che la natura, per come vogliamo asservirla ai nostri bisogni (perché è questo che facciamo con l’agricoltura), possa avere malattie o carenze. Nascono così insetticidi, pesticidi, diserbanti, fertilizzanti… senza molta considerazione degli effetti secondari.
L’agricoltura biodinamica (da cui discende quella biologica) parte dall’osservazione della natura e si pone in sintonia con essa, mirando innanzitutto a potenziarne le forze vitali e di equilibrio. La cosiddetta salutogenesi.
Vengono favoriti i processi e tutte le forme di vita che permeano il terreno, per ripristinarne se necessario, mantenerne ed accrescerne la fertilità, come aspetto centrale.
Lo stesso per le piante e le coltivazioni, di cui non sfugge siano organismi espressione della terra su cui insistono (la vite per tutte) e verso le quali è chiesto all’agricoltore conoscerne stato e comportamenti in vista di una piena vitalità ed una totale armonizzazione.
Non ci sono malattie o nemici da combattere, ma cause ed effetti da comprendere e se necessario riequilibrare seguendo le leggi della natura.
È chiaro quindi che senza la piena e convinta conversione a questo aspetto fondamentale, si potrà forse ridurre i trattamenti chimici come propose a suo tempo l’agricoltura integrata (di cui Giorgio Celli era sostenitore), ma con risultati limitati, e soprattutto non definitivi.
Da ultimo un dato storico.
Nel 1909 Haber e Bosch ottengono il Nobel per aver sintetizzato l’azoto. Questo permetterà all’industria bellica di produrne in grande quantità per gli esplosivi dell’artiglieria pesante che compare con la grande guerra. Terminata la quale questo imponente apparato produttivo diverrebbe inutilizzato, se non si avesse l’idea di produrre fertilizzanti per l’agricoltura. Nasce l’agricoltura chimica.
Gli aspetti simbolici di questa nascita dovrebbero farci riflettere.